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Non è facile scrivere in poche righe cosa ha rappresentato per me il San Pietro. In questo gruppo ho passato una parte considerevole della mia vita giovanile ed è stata quindi un’esperienza importante e determinante.
Il mio cammino nel San Pietro si può divedere in due parti: la prima, dall’età infantile fino all’adolescenza, legata indiscutibilmente al binomio “ GS San Pietro – Ricreatorio Parrocchiale” che tra l’altro e stato indissolubile almeno fino al trasferimento nel campo nuovo.
In quel campetto di sabbia molti di noi hanno passato dei momenti spensierati e indimenticabili; il ritrovarsi attorno a un pallone, in quel momento, corrispondeva al momento migliore della nostra giornata. Era un momento sociale ed economico molto particolare e, per molti di noi, fatto di molte privazioni dove, però, bastava anche solo un pallone e due metri di prato, per ritrovare la gioia di vivere. È in quel periodo che sono cresciuto come giocatore e come uomo. Le squadre erano poche e non sempre, per questo, si riusciva a giocare, ma erano gestite da uomini straordinari.
Uno dei miei allenatori è stato Angelo, il simbolo del San Pietro, persona buona e disponibile che mi ha aiutato a crescere e che a tutti noi ha trasmesso cosa voleva dire far parte della sua squadra.
A diciotto anni ho lasciato il San Pietro per mia scelta, ma in qualche modo, me lo sono sempre portato appresso. Ho gioito insieme a loro al traguardo storico della promozione in seconda categoria e nonostante giocassi in un’altra squadra il San Pietro è stato sempre nei miei pensieri. Anche perché nella squadra del Tezze, dove giocavo in quegli anni, era composta, per quasi la metà dell’undici Titolari, da giocatori che erano passati per il San Pietro.
Sono poi ritornato in squadra a metà degli anni Novanta poco dopo la retrocessione in terza categoria. I dirigenti di allora mi hanno fortemente voluto e ho accettato con entusiasmo; c’era un progetto ambizioso, un gran presidente: Sergio Peruzzi e una dirigenza che ci metteva nelle condizioni di fare calcio senza nessuna pressione ma soprattutto uomini che incarnavano lo spirito vero del San Pietro.
Dopo solo pochi anni la squadra da cenerentola divenne una squadra temuta a livello regionale, grazie anche all’inserimento di giocatori e allenatori che l’hanno saputo far crescere da tutti i punti di vista.
Far parte di questa comunità è stato per me molto importante. Indossare questa maglia è ancora ora motivo di soddisfazione e di orgoglio: la casacca nero verde numero 11 me la sento ancora addosso. Coloro che vivono per questa Maglia, in qualche momento della loro vita, non smettono MAI di indossarla.